Il fitness nella terza età

Anche se non è l’immagine tradizionale, la visione di una persona anziana che fa ginnastica, sci di fondo od una semplice ‘corsetta’ in una strada cittadina periferica, non è più così rara e si vanno diffondendo sempre più centri pubblici o privati che offrono attività motorie per gli anziani.

È necessario, perciò, che vengano approfonditi i termini generali del rapporto tra movimento ed invecchiamento per potere meglio valutare i rischi ed i benefici di tale attività per i soggetti appartenenti alla ‘terza età’.

La longevità è sicuramente un prodotto di fattori genetici che fissano dei limiti temporali: la longevità è specie-specifica (si può far vivere un topo qualche mese in più, ma non arriverà mai a vivere cinquanta anni come un ippopotamo), è legata al sesso (le femmine di quasi tutte le specie, dagli insetti ai primati, vivono di più), dipende dalla longevità dei progenitori ed è più simile nei gemelli mono-ovulari che in quelli bi-ovulari.

Ma è altrettanto evidente che questi limiti sono ‘ambiti di fluttuazione’ per usare un termine termodinamico: cioè non sono ‘rigidi’ e molti fenomeni possono influire sull’ampiezza di questi limiti. Il movimento e l’attività fisica sembrano essere uno di questi fenomeni, ma il movimento influenza positivamente o negativamente la longevità?

L’evidenza in campo umano è stata a lungo contraddittoria. Intanto vi è abbondantissima letteratura sugli effetti negativi della immobilizzazione che appare un vero e proprio fattore di rischio a tutte le età, con effetti catastrofici nell’età anziana; ma anche il semplice ‘disuso’ comporta una serie di effetti deleteri per l’organismo tanto da agire come un acceleratore dei processi di invecchiamento. Ma dove agiscono e quali sono i processi che permettono una migliore qualità della vita nei soggetti che praticano una attività fisica?

Il movimento muscolare mette in azione numerosissimi meccanismi biologici che interagiscono, attraverso complicati processi chimici, con tutti i nostri organi ed apparati. Quando eseguiamo anche un modesto sforzo il Cuore accelera i propri battiti, il Sanguescorre più velocemente, la respirazione si fa più profonda e frequente, la pressione del sangue sale, vengono consumate alcune sostanze ed altre ne vengono prodotte.

Tra le sostanze che vengono utilizzate molta importanza hanno i grassi che tranquillamente riposano nei loro depositi (adipe e cellulite!) o circolano in vene ed arterie. Se in un soggetto giovane i danni che questi materiali possono provocare sono modesti, in quanto i grassi vengono facilmente utilizzati come materiale energetico nell’attività fisica e di costruzione che quotidianamente compiono tali individui, nei soggetti anziani (e non necessariamente troppo avanti negli anni!) i grassi si depositano sulle pareti dei vasi, specialmente nelle arterie, provocando l’aterosclerosi, molto pericolosa soprattutto se colpisce il cuore ed il cervello.

Molti studi sostengono l’ipotesi che il lavoro muscolare di tipo aerobico (cioè di bassa intensità) eseguito con regolarità protegga dalle malattie cardiovascolari, specie se associato ad una dieta appropriata. Tra gli esperimenti più recenti in tale senso possiamo ricordare quelli eseguiti da un gruppo di ricercatori dell’Università di Boston che per due anni hanno studiato un gruppo di 27 scimmie (del tipo macaco, molto simili all’uomo), sottoponendole ad attività fisica quotidiana (un’ora di corsa, paragonabile allo sforzo compiuto da un uomo che esegua un’attività fisica di bassa intensità) e, contemporaneamente, ad una dieta particolarmente pericolosa per le loro arterie.

Al termine di questo periodo (lungo, se rapportato alla vita media di una scimmia) le scimmie ‘sportive’ mostrarono un esame del sangue, un elettrocardiogramma ed un aspetto delle coronarie particolarmente favorevoli dimostrando come l’esercizio fisico di tipo aerobico, eseguito regolarmente, le aveva protette dalla Aterosclerosi e dalle sue più o meno gravi complicanze cliniche.

Anche l’osteoporosi, degenerazione delle ossa che si verifica sovente nella terza età con fragilità delle stesse e pericolo di fratture, migliora in seguito alla attività fisica: queste sono le conclusioni di due gruppi di ricercatori, uno della Università della Florida e l’altro della Università californiana di Stanford, che hanno valutato l’effetto dell’esercizio fisico sull’apparato osteo-articolare.

Oggi 15 milioni di americani, in buona parte condizionati dai medici, si dedicano regolarmente al footing ed al jogging ed è significativa la riduzione dei casi di osteoporosi nella popolazione, in quanto la pratica di queste attività sportive porta ad un aumento del contenuto minerale delle ossa ed ad un favorevole rimodellamento delle loro strutture interne.

Ma quanto deve essere intensa l’attività fisica in un soggetto anziano affinché essa sia efficace e favorevole? Esiste un limite oltre il quale può risultare dannosa? In uno studio sperimentale, pubblicato nel 1982 e successivamente confermato, veniva messo in evidenza come vi fosse un aumento di longevità nei ratti che venivano allenati quotidianamente, ma solo se l’allenamento iniziava in giovane età. Al di la di una ‘età soglia’, che si può individuare in questo studio nell’età adulta del ratto, l’allenamento riduceva la longevità.

È vero che l’esercizio fisico attuato sperimentalmente in questi ratti era al limite dello stress e, per forza di cose, forzato e, quindi, poco confrontabile con quello di un gruppo di anziani che va in palestra, tuttavia l’esistenza di questa ‘età soglia’ poneva un grosso interrogativo per la salute degli anziani. In parte la risposta a questi quesiti è venuta da una ricerca di un gruppo di Stanford e Harvard che ha studiato 16.939 studenti maschi, di età fra i 35 ed i 74 anni e, ad iniziare dal 1972, li ha seguiti per 16 anni registrandone i livelli di attività fisica e mettendoli in relazione con sopravvivenza e mortalità.

Si è visto così che, con una attività fisica costante (con un dispendio energetico settimanale minimo di 500 kcal e massimo di 3500 kcal) vi era un incremento di longevità, con riduzione del rischio di morte (dal 30% al 50% in meno) e con un guadagno, rispetto ai sedentari, di 2.33 anni di vita; e questo avveniva a tutte le età. Infatti, anche per le classi di età più elevate si manteneva il vantaggio in modo assai evidente. Ma se andiamo a verificare l’effetto di uno sport ‘ad alta intensità’ (più di 3500 kcal settimanali) sulla longevità di un soggetto, vediamo che esso è nullo, anzi può diventare negativo, dopo i 70 anni.

In conclusione: l’attività fisica, fisiologica nei bambini, dovrebbe essere parte della vita quotidiana ad ogni età, naturalmente se non vi sono patologie in atto tali da controindicarla. Essa, associata a regole di vita igieniche (alimentazione e fumo soprattutto), non deve trasformare tutti in maratoneti: è sufficiente una attività a bassa intensità, ma con impegno costante, come ad esempio una ‘corsetta’ di non più di un’ora, tre volte la settimana.

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